Sarebbe facile definire Sergio Marchionne come l’eroe dei due mondi. Dopo Giuseppe Garibaldi è certamente il manager franco canadese il più degno a succedergli. Ed è un augurio che non nasconde doppi sensi perché per lui non c’è nessuna isola di Caprera in vista. Eppure qualche dubbio rimane. Non fosse altro perché a Marchionne il nuovo mondo piace molto più di quello vecchio. Angusta e claustrofobica l’Europa, vasta e piena di promesse l’America. E così a chi gli chiede conto, anche all’interno dell’azienda e persino da una imbarazzata proprietà, della progressiva perdita di quota nel vecchio continente, risponde citando le future scelte di Toyota.
C’è da pensare che le informazioni di prima mano non gli manchino perché a capo del marchio Fiat c’è ora quell’Andrea Formica che nella filiale europea della casa giapponese ha ricoperto fino a qualche mese fa, il ruolo di vicepresidente con delega alle vendite, marketing e pianificazione prodotto. Una strategia che potrebbe rendere più comprensibile l’abbandono di Toyota da parte di Andrea Formica ma anche di Massimo Nordico passato alla Volkswagen dopo essere stato il responsabile europeo della marca delle tre ellissi.
In breve Toyota sarebbe pronta a rinunciare alla difesa ad oltranza della sua presenza in Europa. Mercato ritenuto troppo competitivo per consentire ricavi accettabili. Grandi sforzi, quindi, e magri ricavi. E per la verità, nonostante i livelli qualitativi del prodotto, la positiva percezione dei suoi valori da parte del consumatore e della leadersheep conclamata nel campo delle vetture a basse emissioni, non ha mai ottenuto il successo che si sarebbe aspettata a fronte di investimenti così rilevanti. Ed infatti il 4.5% di quota si confronta con una percentuale analoga (esclusa l’Iitalia, naturalmente) da parte di Fiat. Che di investimenti, almeno in questi ultimi tempi, ne ha fatti davvero pochini.
E se questa è la decisione della grande Toyota allora perché non accodarsi ed occuparsi di un mercato americano che si può ormai affrontare a pieno titolo grazie alla maggioranza in Chrysler. Tutto logico se non fosse per la diversa dimensione dei due gruppi. Toyota, nonostante le difficoltà dovute alla catastrofe giapponese, rimane un leader a livello mondiale. Negli Stati Uniti nei primi tre mesi dell’anno ha venduto 150.000 auto più della Chrysler, e due suoi modelli figurano al quinto ed al settimo posto tra la top ten delle vetture più vendute. La presenza in Cina e India è in crescita e gli effetti del terremoto potranno comunque essere rapidamente neutralizzati.
Per Fiat il discorso è diverso. Rinunciare a difendere la quota in Europa significa trovarsi davanti a contrazioni rilevanti delle vendite in valore assoluto, solo in parte compensate da quelle di Chrysler che, pure in crescita negli Usa, sembra ancora molto lontana dalla redditività di Ford e GM. Senza contare che con il prezzo del gallone di carburante al di sopra dei quattro dollari nel breve andrebbero in crisi proprio i suoi modelli di maggior successo.
Perché se la Fiat è stata scelta da Obama per moralizzare gli americani sul piano di consumi ed emissioni, è pur vero che la tenuta di Chrysler è affidata ai pick up della Dodge equipaggiati con motori di vecchia generazione, cilindrata elevata e consumi smisurati. Una situazione transitoria in attesa del nuovo Suv destinato ad essere prodotto a Mirafiori con il marchio Alfa Romeo e Jeep che-potrebbe però rivelarsi non competitivo sul piano dei costi e quindi su quello dei prezzi. Produrre in euro e vendere in dollari, almeno allo stato attuale del cambio, potrebbe rivelarsi insostenibile. E qualcuno, negli Stati Uniti, ha cominciato ad attirare l’attenzione di Marchionne su questo tema.


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